Finora delle comunià energetiche abbiamo visto solo un antipasto. Prove pionieristiche, poche per la verità, di come si può sviluppare un sistema di “prosumer” nel mercato dell’energia rinnovabile, consumatori che sono al tempo stesso produttori. La pubblicazione, il 30 novembre, sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue Red II sulle rinnovabili introduce, però, nuove regole che dovrebbero dare un’ulteriore spinta al meccanismo avviato in Italia dal Dl Milleproroghe (il 162 del 2019) con una prima fase di test, giunta ora a traguardo dopo il recepimento delle norme europee e grazie alla quale hanno cominciato a prendere piede gruppi di autoconsumo e comunità energetiche rinnovabili (Cer). Ma vediamo innanzitutto in questo video pubblicato sul sito del portavoce dell’On. Gianni Girotto, Presidente della deciama commissione al Senato e principale fautore di questa legge virtuosa, come funzionano le comunità energetiche:

https://www.italycarbonfree.it/wp-content/uploads/2021/12/Comunità-energetiche-1.mov

La filosofia è la seguente: autoprodurre localmente l’energia necessaria al proprio fabbisogno, ma il perimetro è diverso. Poiché gli autoconsumatori che si aggregano devono far riferimento allo stesso edificio o condominio (non necessariamente residenziale, ma anche cooperative, centri commerciali o consorzi industriali), mentre i membri delle comunità energetiche devono invece trovarsi sulla rete di bassa tensione sottesa alla stessa cabina secondaria (vale a dire la cabina di prossimità, quella più vicina all’utenza che trasforma l’energia elettrica dalla bassa alla media tensione). Un vincolo, quest’ultimo, superato con il passaggio alla fase due che ha ampliato sia il perimetro delle Comunità Energetica (con la possibilità, prima negata, che si possa ora aggregare, per esempio, un intero quartiere o un piccolo Comune) sia la potenza dell’impianto, fermo, nel meccanismo transitorio, a un massimo di 200 kilowatt ed esteso ora fino a un megawatt.

Due paletti, ora venuti meno, che spiegano però in buona parte i numeri attuali destinati comunque ad aumentare, come testimonia il centinaio di progetti in fase di sviluppo arrivati all’attenzione del Gestore dei servizi energetici (Gse), in prima linea su questo fronte sia come promotore del meccanismo sia come gestore del monitoraggio della misura e degli incentivi riconosciuti per 20 anni e differenziati per le due tipologie (100-110 euro per megawattora), cui si affianca un ristoro di alcune componenti tariffarie pagate in bolletta.

Un assist dal Recovery Plan

Adesso, dunque, si attende il pieno decollo del meccanismo che potrà sfruttare l’assist del Recovery Plan. L’articolo 14 del decreto spiana infatti la strada all’utilizzo di 2,2 miliardi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il sostegno alle comunità energetiche e alle strutture collettive di autoproduzione. Il ministero della Transizione ecologica (Mite), entro la fine di febbraio, dovrà definire un provvedimento attuativo per la concessione di finanziamenti a tasso zero fino al 100% dei costi ammissibili per lo sviluppo delle comunità energetiche nei piccoli comuni. L’obiettivo è la realizzazione di impianti di produzione di rinnovabili, anche abbinati a sistemi di accumulo di energia. Questo provvedimento del Mite dovrà anche indicare le condizioni di cumulabilità con gli incentivi tariffari già previsti.

Si entra così nel vivo dell’investimento che ha, come beneficiari prioritari, pubbliche amministrazioni, famiglie e microimprese in Comuni con meno di 5mila abitanti o quartieri di comuni di più abitanti. L’obiettivo è l’installazione di circa 2mila megawatt di nuova capacità di generazione elettrica in configurazione distribuita da parte di comunità e autoconsumatori. Secondo le stime del governo, la realizzazione degli interventi finanziati potrà produrre circa 2.500 gigawattora annui, contribuendo a una riduzione delle emissioni di gas serra stimata in circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

Fonte “Il Sole 24 ore”